Presidente Gallo, non crede che l’ipotesi dell’apertura delle scuole possa essere rischiosa, considerata l’emergenza legata al contagio?
Ho proposto l’apertura delle scuole solo per questi bambini e ragazzi, ma solo in assoluta sicurezza e predisponendo le misure del distanziamento fisico e l’uso obbligatorio di dispositivi di protezione personale. Tutti gli studenti dovranno seguire regole stringenti da settembre, ma pensando a un gruppo più ristretto, di quattro o cinque ragazzi, credo si possa valutare la possibilità di iniziare prima. D’altro canto è ormai chiaro che, a causa del percorso di apprendimento interrotto, si sono creati dei gap che devono essere recuperati quanto prima. Si darebbe la priorità ai ragazzi che stanno pagando di più il distacco dalla comunità scolastica, come i diversamente abili e quelli che vivono in famiglie con maggiori difficoltà socio-economica, dove si fa più fatica a seguire le video-lezioni e i percorsi educativi a distanza.
Che dati avete a riguardo? Quelli di Save the Children non sono incoraggianti
Come segnalato nello stesso ordine del giorno, da un monitoraggio del ministero dell’Istruzione risulta che il 6% degli alunni non è raggiunto dalla didattica a distanza. Parliamo di circa 42mila studenti. Ci sono altri sondaggi, però, sempre su vasta scala, che rivelano cifre di alunni esclusi ben più alte.
Secondo gli ultimi dati Istat, in Italia più di 4 minori su 10 vivono in abitazioni privi di spazi adeguati allo studio e il 12,3% non ha un computer o un tablet in casa per seguire le lezioni a distanza. Chi ce l’ha, nel 57% dei casi deve condividerlo con gli altri familiari. Sono queste le basi su cui è partita la didattica a distanza.
È uno strumento importante, che ha aiutato a non spezzare completamente i percorsi didattici. Voglio ricordare che il ministro dell’Istruzione ha fornito tablet, pc e traffico dati a studenti che ne erano sprovvisti investendo 165 milioni di euro. Ma non possiamo dimenticare che 1,2 milioni di alunni nel nostro Paese rischiano che questa emergenza abbia conseguenze gravi. Perché diversamente abili e, quindi, maggiormente penalizzati dal lungo lockdown, perché non possono contare sulla presenza di genitori che li seguono o semplicemente perché vivono in appartamenti piccoli dove è difficile trovare spazi per potersi dedicare allo studio. A tutto questo si aggiunge il gap tecnologico con i compagni.
Lei sta preparando anche un testo normativo per sostenere il recupero di questi studenti. Cosa prevederebbe la misura?
L’obiettivo è quello di elaborare un piano nazionale che coinvolga tutto il Governo e sia rivolto ai Comuni, in modo che si possano sviluppare prima di settembre dei percorsi educativi di emergenza, intervenendo in modo straordinario, con finanziamenti ad hoc. Cuore della misura è la collaborazione tra Comuni e scuola con l’obiettivo di creare spazi e percorsi didattici di recupero. Questi ragazzi dovrebbero ritornare a fare lezione con i loro docenti, o almeno incontrarli, al più presto. Magari affiancati da figure quali psicologi, pedagogisti e assistenti sociali, perché i docenti non possono essere soli nell’affrontare questa situazione e c’è bisogno di costituire un team educativo con altre professionalità che possano gestire l’emergenza. Poi, però, bisognerà investire e riorganizzare una scuola, dicendo addio alle classi pollaio. Quello è già il passato.