Primo affrontiamoi disequilibri su scuola e università, poi le autonomie

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Dobbiamo impedire la tragedia di una Buona Scuola dell’Emilia Romagna, una Buona Scuola del Veneto, una Buona Scuola della Lombardia con la regionalizzazione dell’istruzione. Immaginatevi ogni regione che decide un modello organizzativo del personale della scuola, più o meno precario, più o meno privato, più o meno verticistico. Non saremmo più un Paese Unito e in ogni regione si realizzerebbero delle discriminazioni incontrollabili per docenti, dirigenti e studenti. Avremmo un diritto allo studio differenziato.

A questo si aggiunge la possibilità di offerte formative regionalizzate con storia differenziata, programmi differenziati, lingue differenziate, un pericolo che potrebbe produrre ben presto fratture e divisioni territoriali drammatiche.

Il capitolo Università non è differente. Acuire squilibri regionali porterebbe a riaccendere migrazioni dal sud al nord di studenti, ricercatori e professori universitari creando sovraffollamenti che andrebbero a ridurre la qualità delle stesse università delle regioni che vogliono questo tipo di autonomia.

Tutta questa fretta e questa riservatezza nel definire una trasformazione epocale del nostro Paese non ha alcun senso. Il dibattito sulle autonomia differenziata va reso pubblico e va parlamentarizzato. Affrontiamo ogni singolo tema di cessione dello Stato su scuola, università, salute in modo trasparente sotto gli occhi dei cittadini in Parlamento, perchè l’operazione può essere solo chirurgica. Sulla trasformazione di aspetti delicatissimi dello stato non si può fare nè propaganda, nè lotta di partito. Mi associo alle parole di Monica Barni della Conferenza delle Regioni, che oggi in Commissione Cultura, ha chiesto al più presto la definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) che garantisce la creazione di un fondo per i disequilibri regionali. É nel nostro contratto di governo e va fatto prima delle autonomie.

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