Bisogna sviluppare comunità educanti per aiutare i giovani a superare l’esperienza Covid

La risposta a lungo termine che le istituzioni oggi sono chiamate a dare alle nuove generazioni che hanno subìto le conseguenze della didattica a distanza e della mancanza di socializzazione a causa della pandemia, non può essere un ritorno alla scuola pre-Covid. Al contrario, questa risposta deve guardare sempre di più ai modelli, già esistenti, di comunità educanti che si sviluppano attorno alla scuola estendendosi a tutto il territorio circostante. Le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza sono fondamentali per questo scopo.

Il precedente Governo ha definito il primo protocollo di comunità educanti diffuse quale strumento di apprendimento e scoperta per i più giovani. L’attuale esecutivo, grazie al lavoro della sottosegretaria Barbara Floridia, ha messo a punto un piano nazionale di transizione ecologia e culturale nelle scuole, RiGenerazione Scuola, che mira appunto a garantire un’evoluzione della scuola italiana in senso inclusivo e sostenibile e una nuova stagione di protagonismo giovanile.

Iniziative come queste non fanno che concorrere a una tendenza già in atto: in tante città italiane esistono progetti positivi ed efficaci di comunità educanti, micce di un cambiamento che parte proprio dai più giovani, e che coinvolge scuole e famiglie. Grazie a un protocollo d’intesa da poco firmato da Labsus e Indire, si potrà presto avere una mappatura di tutte le esperienze di Patti educativi sui territori. Attività motoria, educazione emotiva, contatto con la natura e pratiche di inclusione non possono più essere considerati aspetti secondari nella crescita: sono essenziali per superare l’esperienza drammatica della pandemia e crescere una generazione di ragazzi più sani e consapevoli