Centri per l’impiego: Regioni in colpevole ritardo, ora assumano

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Dal 2019 le Regioni hanno assunto solo l’8% degli addetti ai centri per l’impiego: si tratta di 949 persone, a fronte delle 11.600 assunzioni previste e finanziate, da affiancare agli 8 mila esistenti. Un ritardo inaccettabile, considerata l’urgenza di garantire lavoro e occupazione, soprattutto in un momento storico di fragilità economica come quello che stiamo vivendo.

Non assumere personale per i centri dell’impiego è ostacolo non da poco, vista la riforma sulle politiche del lavoro, il piano GOL – Garanzia di occupabilità dei lavoratori, visti i 5 miliardi per la formazione e la ricerca del lavoro per 3 milioni di persone entro il 2025 con fondi per il Recovery Fund. Soldi che finanzieranno la formazione di donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55.

Senza personale, tutto questo risulta irrealizzabile. Ecco perché rappresenta una buona notizia che, a fronte delle pressioni fatte dal governo, le regioni abbiano deciso di dare il via al proprio piano assunzionale e rendere un servizio utile per i cittadini che aspettavano risposte da troppo tempo.

Le politiche attive di Gol dialogano direttamente con quelle già esistenti relative gli ammortizzatori sociali e quindi anche con il reddito di cittadinanza. L’obiettivo è attivare le persone al lavoro, a partire dai fragili e da chi riceve sostegni. Ecco perché far funzionare i centri dell’impiego completerebbe l’opera disegnata nel 2018 con l’introduzione di uno strumento come il Reddito, perché interseca i bisogni di chi riceve un sussidio con la necessità di reinserirlo del mondo del lavoro, chiudendo così una spirale di critiche e di chiacchiere su una misura così essenziale per una società che voglia dirsi civile, in grado di dare un sostegno agli ultimi e cha ha raggiunto 3,7 milioni di cittadini (1,8 milioni di famiglie), di cui 1,3 milioni di bambini e ragazzi e 450mila persone con disabilità.

È tempo di dare dignità a questi cittadini, non di voltarsi dall’altra parte, come colpevolmente la politica del nostro Paese ha fatto per più di 20 anni.