Aumentano i profitti, non i salari

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L”articolo 53 della Costituzione afferma: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Ma se leggiamo i dati del 2018, i redditi da lavoro dipendente e assimilati e da pensione rappresentano l’82,3% del reddito complessivo dichiarato, tra questi il 43,9% dichiara redditi complessivi fino a 15mila euro, mentre – complessivamente – il 79,2% dichiara non più di 29mila euro. Sul fronte opposto, solo l’1,2% dichiara al di sopra dei 100 mila euro. Poco più di 40mila contribuenti (meno dello 0,1%) dichiara più di 300mila euro. L’ultimo scaglione di reddito, sopra ai 75mila euro è solo il 5% della popolazione italiana e secondo l’Istat è titolare da sola del 41% della ricchezza nazionale netta.

Criteri e principi di solidarietà ed equità stabiliti nel secondo articolo della Costituzione e nella seconda parte dell’art. 53 della Costituzione “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” rischia di essere sostanzialmente aggirato.

Se guardiamo l’indagine Gini-Growing inequality impact, tutto questo è evidente visto che l’Italia si posiziona al secondo posto in Europa quanto a disuguaglianze e a distribuzione di redditi e di ricchezza e al divario tra generazioni considerato che la ricchezza si sposta verso la popolazione più anziana. Alcuni studi mettono in evidenza un’altra importante trasformazione che incide negativamente sull’equa distribuzione della ricchezza: l’aumento della quota sul reddito nazionale dei profitti (professionali e d’impresa) a scapito della quota dei salari. Infatti, mentre fino alla prima metà degli anni 70 quest’ultima è cresciuta costantemente, passando da circa il 50% al 58%, a partire dalla seconda metà degli anni 70 il trend si è invertito con la riduzione della quota dei salari al 52% nel 2000 e ben oltre negli anni seguenti, e il parallelo aumento della quota dei profitti.

Se la politica non sceglie una riforma fiscale basata sul principio di riduzione delle disuguaglianze e della povertà, siano essi lavoratori, piccoli imprenditori o lavoratori autonomi che non riescono a sopravvivere, misure come il reddito di cittadinanza e il reddito minimo rischieranno solo di tamponare una tendenza strutturale dell’ossatura fiscale del nostro Paese che tende verso il rafforzamento delle disuguaglianze. Per questo è importante cambiare linea con la nuova riforma fiscale.