Coronavirus e psicosi di massa. È urgente una carta etica dell’informazione

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Caro direttore,

Non sono giorni facili per il nostro Paese con l’avvento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, ma se l’Oms si è congratulata con il governo per le sue misure “risolute e veloci”, non si può dire lo stesso per il virus della disinformazione collettiva che ha generando a tutti gli effetti un caso di epidemia virale delle menti. Soltanto oggi, tardivamente, si affannano a reclamare toni più pacati. Come sappiamo, nelle democrazie i media svolgono un ruolo fondamentale nell’opinione pubblica: ecco perché, in fase di emergenza, ci saremmo aspettati notizie fondate sulla razionalità e su un maggiore senso di responsabilità. Abbiamo assistito a ben altro spettacolo.

Nella settimana passata i servizi o i titoli con toni sensazionalistici hanno dato adito a un’isteria spropositata e fuori luogo. Una psicosi diffusa di cui i media nazionali si sono resi complici, nei toni, nell’utilizzo spregiudicato e irrazionale dei meccanismi della paura e dell’emotività. Senza alcuna preoccupazione per l’innesco di comportamenti collettivi poco sani e dannosi per tutta la comunità: dalle immagini degli scaffali saccheggiati dei supermercati ingenerano gioco forza preoccupazioni e atteggiamenti emulativi, del tutto immotivati.

Da giorni, oltre alle bufale che girano in Rete, assistiamo a qualsiasi tipo di contenitore o trasmissione televisiva che vede protagonisti il presunto infetto, l’amico del paziente, ma anche il virologo, lo scienziato o il medico ponendo tutto sullo stesso piano. Salvo poi lamentare nelle ultime ore – dagli stessi schermi e dalle stesse pagine – il rischio per l’economia rappresentato dalle conseguenze della psicosi di massa.

Le fake news hanno presa tanto più in un Paese nel quale – come ci hanno illustrato i dati Ocse-Pisa di dicembre 2018 – l’emergenza sull’analfabetismo funzionale è una questione reale e seria, su cui le istituzioni devono interrogarsi. In Italia un quindicenne su venti è in grado di comprendere un testo letto. La media Ocse è di uno su dieci, mentre gli studenti che hanno difficoltà con gli aspetti di base della lettura sono uno su quattro: non identificano l’idea principale di un testo di media lunghezza. Se aggiungiamo a questo i dati sulla dispersione scolastica e il grande flop della scuola digitalizzata possiamo avere un quadro della drammaticità dalla situazione e del lavoro che stiamo faticosamente portando avanti in Parlamento per porvi rimedio. La povertà educativa e culturale del Paese rende ancor più complesse fasi come queste: epidemia, panico, complessità e assenza di strumenti idonei a valutare correttamente le notizie che vengono veicolate.

Se non abbiamo infatti chiari i ruoli di tutti in questa vicenda, il Paese rischia adesso di essere messo in ginocchio dal punto di vista economico ogni qual volta si scateni una tempesta perfetta mediatica come quella degli ultimi giorni indipendentemente dalle emergenze di carattere nazionale che possono colpire il nostro Paese.

In pochi anni le tasche di tutti i cittadini si sono riempite di strumenti tecnologici e digitali senza che si siano diffusi contemporaneamente gli strumenti giusti per navigare nel mondo dell’informazione pervasivo che arriva fin dentro ai nostri smartphone. Non basta conoscenza o istruzione di base, non basta neanche un buon livello di istruzione, perché è assente un vademecum condiviso, una guida condivisa all’uso corretto dei media e dell’informazione in questo caso scientifica, che coinvolga media, istituzioni e cittadini. È necessario sia lavorare sull’educazione del cittadino del ventunesimo secolo – per contrastare il rischio di una barbarie culturale – sia promuovere una nuova carta etica per la nostra informazione che però non rimanga nel ristretto campo degli addetti ai lavori, a maggior ragione in un’epoca in cui ciascuno di noi rispetto ai media è ormai in qualche modo “prosumer”, produttore e consumatore al tempo stesso di contenuti informativi. Ad esempio, sul Coronavirus per arrivare ai cittadini doveva essere scelta solo un tipo di comunicazione ufficiale: quella istituzionale/scientifica, mettendo da parte aspetti di morbosità e una certa sciatteria e superficialità nel restituire dati e informazioni tecniche.

Noi siamo impegnati a dare il nostro contributo da portavoce dei cittadini e da legislatori; ci auguriamo che su questo tema di apra un dibattito pacato e costruttivo con il mondo dell’informazione, con quello dell’istruzione, con gli esperti digitali e le sue comunità civiche digitali. E chissà che questo capitolo triste della storia d’Italia non possa dar vita a scenari di positivi e per certi versi innovativi, in grado di far fare un passo avanti al Paese nel suo complesso.

Luigi Gallo, Presidente della Commissione Cultura Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati

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